Gela
Gela: il dominio del petrolio
L’ odore del fumo, quello acre, quello che ti si attacca alle narici, ormai non si sente più.Quel che rimane sono le cicatrici, l’ambiente compromesso, il diritto alla salute calpestato.Gela è una città siciliana che si affaccia sul mar Mediterraneo. L’impianto ENI viene messo in funzione nel 1963, incastonandosi così nella costa gelese. All’interno dello stesso si estraeva il petrolio e si producevano fertilizzanti, materie plastiche, gasolio, benzina, soda caustica, dicloeretano ed altri prodotti chimici. Così assieme all’industria, al progresso ed al lavoro, arrivano in Sicilia una serie di problematiche ancora irrisolte. Come scrive Pietro Saitta “Anni cinquanta, Gela: il petrolio affiora in Sicilia e le popolazioni accolgono tripudianti l’arrivo degli stabilimenti petrolchimici. ‘La Sicilia come il Texas’, è quello che molti pensano. Mezzo secolo dopo il conto è servito: malformazioni, malattie da industrializzazione, risorse idriche devastate e sottratte ai territori, criminalità organizzata”.
Dal 2002 l’impianto inizia a registrare rallentamenti produttivi, nel 2012 questo risulta inattivo al 75%. Confluiscono così immediatamente migliaia di operai in cassa integrazione. Con la legge 426/1998 l’intera area viene inserita tra i SIN (Siti di Interesse Nazionale per la Bonifica). I casi di malformazioni e decessi superiori alle medie regionali e nazionali continuano a non turbare parte della popolazione gelese: “megghiu moriri ri tumori chi ri fami” è il loro motto. Contrariamente, altrettanti cittadini si battono quotidianamente per sconfiggere il colosso del petrolio.
Tutti gli anni di produzione senza controllo hanno portato i livelli di inquinamento delle falde, dell’aria e del terreno ad una quota altissima: le concentrazioni di metalli pesanti e soluzioni cancerogene nelle aree limitrofe sono 10.000 volte superiori ai limiti previsti dagli organi competenti. L’ultimo report di SENTIERI (Studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) registra eccessi significativi per il tumore allo stomaco, al colon, ai polmoni. Proporzionalmente la mortalità per i tumori risulta superiore all’atteso regionale. Riporta lo studio: “L’ alta mortalità osservata nelle donne, unita al loro minor coinvolgimento in attività lavorative, suggerisce la possibile presenza di effetti sulla salute della popolazione strettamente ambientali”. Il rapporto dichiara dunque urgenti “L’ identificazione delle sorgenti di esposizione ambientale, […] lo sviluppo di adeguate strategie di riduzione dell’esposizione e l’implementazione di uno specifico programma di sorveglianza epidemiologica tramite flussi di dati correnti”.
Le azioni di bonifica rimangono ad oggi un’ipotesi remota.